Benvenuti a voi che passate per questa mia casa, l'allevamento de
I Certosini della Sciamana!

Lo so che questo sito è anomalo, lo so, abbinare al mio piccolissimo allevamento di gatti certosino i miei pensieri mi rende fragile...

Scrivere, buttare fuori le mie emozioni siano belle che brutte è uno scaricarsi che mi fa andare avanti anche se a volte è difficile come credo lo sia per tutti la vita. Scrivere, raccontare di me, dei miei Sciamanini mi rende serena, attraverso loro ho fatto amicizie che durano da anni, perchè si, sono ben 26 anni che convivo con questa splendida razza di Gatti Certosino e ogni cucciolata è rimasta nel mio cuore.

Chiedo venia a chi passerà a trovarmi, sicuramente troverà un sacco di errori ma anche tanta ma tanta bellezza nelle foto dei miei Sciamanini.
Le foto che sono su queste pagine di Certosino adulti sono tutte state mandate da chi li ha cresciuti e con i quali io resto sempre in contatto.

Per cui ricordatevi sempre che chi vuole un mio Sciamanino avrà anche me accanto. Grazie per avermi letto e ...... Gatti Certosino/ Sciamanini per sempre!!

ALLEVAMENTO AMATORIALE CON AFFISSO GATTI CERTOSINO DE LA SCIAMANA

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L’inverno lasciò il posto a una primavera piovosa, si doveva pulire i prati dal letame sparso in autunno, una fatica immane, ma lei lo faceva con rabbia, non ascoltava il dolore della sua schiena, continuava a rastrellare e a caricarsi le gerle pesanti sulle spalle arrancando fino alla stalla poi anche se esausta ricominciava, aveva fretta in tutto.
Aveva fretta di liberarsi anche se ancora non aveva preso nessuna decisione, aspettava..
Aspettava il momento, sapeva che sarebbe arrivato e … arrivò….
Quella notte il mal di schiena non le diede tregua, alla mattina capì che il momento era arrivato, disse al Bepe che sarebbe andata lei a governare le mucche al bait, lui cercò di protestare ma lei lo fulminò con lo sguardo, il Bepe ammutolì a disagio di quella sua nuova risolutezza.
Arrivare su al bait non fu facile, a tratti doveva fermarsi perché il dolore gli toglieva il respiro, alla fine arrivò nello spiazzo dell'aia e si sdraiò sulla nuda terra.
Le contrazioni arrivavano a ondate sempre più forti, lei ne era terrorizzata ma ripensando ai suoi cinque parti sapeva quello che doveva fare e si impose una calma che non era facile trovare.
Poi iniziarono le spinte e fu tutta un sudore, si mise in bocca un pezzo di legno trovato lì a terra per non urlare anche se sapeva che nessuno l'avrebbe sentita.
Poi in un attimo il bimbo fu fuori, usci da lei tutto bagnato del suo sangue e cadde sulla terra con un piccolo tonfo, Giovanna si accorse che era una femmina e ne gioì, per un attimo si sentì sollevata, era solo una femmina alla fine...
La sua mano andò alla piccola testolina bagnata e la girò verso la terra, dolcemente la spinse con delicatezza giù, verso il nulla.
Il piccolo corpicino era ancora legato a lei dal cordone ombelicale e la placenta era ancora dentro di lei, erano ancora assieme... per poco ma lei sentiva il dolore della piccola che non sapeva neppure lottare per vivere.
Poi anche la placenta usci, Giovanna la prese e senza guardare la piccola iniziò ad avvolgerla, prima con il cordone ombelicale poi con tutta la massa della placenta, si tolse dal capo il fazzolettone e senza guardare vi depose la figlia.
Ecco, tutto era fatto e la decisione presa!
Era stato facile si disse, dopo tutto era solo una femmina, si pulì alla meglio, si tamponò con gli stracci che aveva preso da casa e si avviò con il suo fardello verso il bosco.
Ogni donna del paese conosceva il "bus de l'Angel" (il buco dell'Angelo), c'erano sempre fiori attorno a quel buco di rocce dove se ti mettevi in ginocchio e accostavi l'orecchio sentivi il rumore dell'acqua giù, molto giù in fondo.
Giovanna arrivò al buco e sul fagotto fece in fretta un segno di croce, poi lo lasciò cadere, per la prima volta sentì una tenerezza per quella bimba che cadeva lungo le rocce fino a perdersi in meandri sconosciuti e pianse.
Piangeva per la sua bimba, piangeva per lei stessa, piangeva per tutte le donne che avevano preso quella decisione orribile e sapeva che in quel buco c'erano tanti Angeli buttati via come se fossero stati sporchi e non degni di vivere.
A fatica si alzò e andò in cerca di fiori, era fine Aprile e la primavera esplodeva in mille colori, trovò delle genzianelle, ne prese a manciate e tornò al buco degli Angeli, iniziò a buttare le campanelle.
Le buttava una a una e ogni campanella che cadeva era accompagnata dalla richiesta di perdono, perdono per lei, perdono per la miseria che c'era, perdono per la vita che le aveva impedito di vivere.
Alla fine tornò a casa, il Bepe la guardò e intuì un qualcosa che lo rese muto, non disse nulla, solo delle lacrime silenziose finirono in una barba mal curata, la sola persona che fu felice fu il Popo, per lui le mammelle di sua madre tornavano a essere colme di latte.
 
 
 
 Terza parte del mio racconto
 
 
Dalla stanza da letto il pianto di Popo la riportò alla realtà, salì con passo malfermo a prenderlo e gli diede la bottiglia di latte già pronto che aveva preparato, intanto la sua mente spaziava per trovare una soluzione.
La soluzione più ovvia era l’Ocia, una vecchia che faceva la levatrice e che sapeva curare ogni male con le sue erbe.
L’Ocia che dai bambini era chiamata la “ stria” (la strega) forse perché nelle storie raccontate nelle stalle, le streghe avevano sempre le sembianze dell’Ocia…
Quel pomeriggio Giovanna si fece coraggio e dopo aver preso dei barattoli di marmellata di mirtilli, si avviò verso la casa dell’Ocia.
Mentre camminava su per la salita, non sapeva più chi pregare, ogni suo pensiero era un grumo di paura.
Giovanna bussò e quando la porta le fu aperta, non ci fu bisogno di parole, l’Ocia già sapeva, gli indicò il letto sfatto e la visitò.
Mani esperte sopra la sua pancia, dita sporche di erbe dentro di lei, ma delicate, domande e risposte a mezza voce e poi il verdetto.
No, non si poteva fare nulla, il bambino era troppo avanti…
Non si poteva fare nulla ma stava a lei scegliere, sì, aveva una scelta e le porse una specie di pancera da mettersi addosso, aveva ancora tre mesi per scegliere….
Il Bepe, suo marito non disse una parola riguardo a quella pancera che lei si metteva ogni giorno, la guardava e poi abbassava gli occhi, lui sapeva. LUI SAPEVA!!!!
Il Bepe aveva iniziato a dormire sul divano in cucina, non la cercava più e lei ne era felice, ringraziava il cielo per questo, aveva già da pensare di suo nelle notti che stava sveglia!
Giorno dopo giorno un tormento, in casa tutto era come al solito, i bambini le davano tanto da fare e poi doveva aiutare il Bepe nei campi ma quello che temeva di più erano le notti.
La sera toglieva quella strana pancera e la sua pancia esplodeva fuori e poi si metteva a parlare con lei, lunghi discorsi che la lasciavano stremata.
Quelli notti a girarsi nel letto, ignorando quei movimenti dentro di lei, quello scalciare, come a chiedere pietà, chiedere di nascere, di essere amato.
Essere amato?
Ma scherzi figlio mio?
Siamo già in sette e nessuno è amato, la miseria non genera amore, poi tu non esisti, quasi quasi non esiste Popo, che domande mi fai?
Quelle notti colme di dolore per se stessa per i suoi sogni mai sognati, perché aveva sempre avuto paura anche di sognare lei, paura di sognare le strie, quelle libere che non hanno paura di nessuno, quanto avrebbe voluto essere come una di loro.
 
 

Eccomi con il mio racconto, spero che vi dia delle emozioni, perchè gli scritti devono dare cibo alla nostra Anima.

Ogni giorno posterò una piccola parte del racconto, buona lettura.

 
El Bùs de l'Angel
 
Giovanna spalancò gli occhi sul buio della gelida stanza da letto, sorrise pensando alla sera prima, i suoi figli avevano onorato l’antica usanza della candelora.
La Valsaviore era una valle chiusa, dove anche la strada finiva ai piedi dell’Adamello, tante le tradizioni e le leggende, la gente che ci viveva ci credeva.
Ripensò alla sera prima, che birbanti di bimbi aveva? Certo, non era facile inventarsi ogni anno un motivo per farla uscire da casa per poi chiuderla fuori cantando la canzoncina in dialetto bresciano “fò zènér eter fabrèr” (fuori gennaio e dentro febbraio) come a dire, va inverno, ora entra la primavera.
Già febbraio, il nuovo anno sembrava già vecchio, tanto era sempre uguale a quello prima, nulla cambiava, la stessa miseria di sempre.
Giovanna si alzò e passando accanto alla finestra senti il tintinnio dei vetri tenuti ancorati al legno con dei grossi chiodi.
Allungò la mano come a fermare quella vibrazione e incontrò il vetro ricamato di ghiaccio, sospirò sconsolata, un altro giorno da inventare, pensò.
Scese le ripide scale di legno attenta a non cadere, non accese la luce, non gli serviva, bastava contare gli scalini per sapere che era arrivata.
Con fare svelto e abituale accese la stufa in cucina, mentre il calore si diffondeva per la piccola stanza, si lavò.
Nel piccolo catino versò poca acqua e fece in fretta le sue abluzioni ignorando la pelle d’oca che la copriva tutta.
Le sue mani percorsero tutto il corpo soffermandosi sul ventre…
Era già spaventata solo all’idea, figuriamoci se il suo pensiero fosse certezza!
Giovanna cercò di fare i conti con calma ben sapendo che solo la mattina presto se lo poteva permettere, i cinque figli cui badare non le davano tregua durante la giornata.
Popo ormai aveva già nove mesi, sorrise pensando al piccolo che dormiva nella culla su, nella gelida camera, Popo lo chiamavano in famiglia ma lui un nome l’aveva, Felice si chiamava, ma non si doveva far ingelosire nessuno, né Dio né i Santi, Popo andava bene…
Si passò il panno umido più volte sul ventre e cercò anche di specchiarsi nei vetri della finestra per vedere se il suo sospetto fosse lecito.
Certo, le sue regole non le aveva più viste da tantissimo, aveva fatto la “quarantina” dopo la nascita del piccolo, ma finita quella suo marito era tornato nel letto e in silenzio aveva preteso quello che lei da brava moglie non poteva rifiutare.
Aveva ascoltato le vecchie del paese le quali dicevano che se allattava non c’era pericolo, ma a poco a poco il latte era sparito e lo capiva dal pianto sconsolato di Popo al quale non era rimasto che dare latte di capra e bocconcini di polenta che passava direttamente dalla sua bocca.
Il vetro della finestra le rimandò l’immagine di una donna vecchia e triste, sobbalzò, come poteva essere lei quella?
Aveva solo trentacinque anni ma quello che vedeva riflesso era la realtà.
Si vestì in fretta senza più guardare ma un movimento dentro di lei la fermò…
C’era, la certezza ora c’era, il bambino aveva scalciato, ora non poteva più mentirsi, aspettava un altro bambino, come avrebbero fatto?

www.bresciasilegge.it

Ieri ho vissuto un'emozione molto forte, ho vinto!

Non voglio autoincensarmi ma vorrei spiegare il mio racconto, dargli vita e far capire di più a chi lo leggerà.

Il racconto è lungo per metterlo tutto in una volta e quindi lo spezzerò in diverse tranche sperando che l'emozione sia sempre la stessa.

Scrivo da sempre, mi piace esternare quello che sento dentro, la pecca è che scrivo quasi sempre sul "serioso" cioè i miei scritti non fanno ridere, fanno riflettere, do l'impressione di essere una persona cupa e triste ma non lo sono.

Sono una persona che usa lo scrivere al posto del xanax  e credetemi, è molto meglio.

Ma torniamo al racconto.

Lo scrivere per me non è il pensare quello che voglio dire, è l'ascoltare quello che vuole uscire, parole che si accatastano una sull'altra per l'urgenza di uscire e trovare vita..

L'urgenza mi fa battere i tasti veloce veloce per la paura di perderle, scrivo tutto, poi ci sarà il tempo per "limare" , dare una punteggiatura.

Questa storia era dentro di me da tanto, spingeva per uscire ma ero frenata, troppo lunga, troppo tutto.....

A fine dicembre inizio a vedere la pubblicità di un concorso a Brescia, una cosa seria, importante.

Già troppo importante decido,  vado oltre, ma il web continua a mandarmi questo link e alla fine la mia storia urla che è il suo posto, che "DEVO" dargli vita.

Ascolto la sua voce e gli dico, "va bene, dimmi tutto" e iniziamo.

La voce dentro di me correva nel raccontarsi, a volte, più volte l'ho frenata, troppe le incongruenze, mi doveva dare il tempo anche di capire, e che diamine!

In un'ora avevo la mia storia!

L'ho letta e mi sono messa a piangere.

Non c'era nulla da togliere o da aggiungere.

C'era una donna che voleva il perdono, mille donne che volevano essere capite e perdonate.

Ovviamente non c'è nessun "El Bùs de l'Angel" .

Ho ambientato la storia a Saviore dell'Adamello ma potremmo dire che questa storia la possiamo trovare dappertutto dove c'era  miseria nel secolo scorso.

La protagonista è una madre con 5 figli, l'ultimo chiamato Popo nonostante abbia un suo nome proprio, allora i bimbi morivano e il non chiamarli con il loro nome secondo le usanze era una protezione.

Una donna sola che non poteva permettersi neppure il sognare, un marito che fa da sfondo, un personaggio di poca importanza, solo lei da a questa storia la profondità del dolore di quell'epoca.

Ecco, come al solito sto iniziando un'altra storia....

Torniamo indietro.

Ho spedito il mio racconto con il titolo in dialetto bresciano e me ne sono dimenticata.

Dopo due mesi mi è arrivata l'email che ero in graduatoria, su 180 racconti ero stata selezionata con altri 19 !

Per me avevo già vinto!

Ieri a Brescia in Broletto c'è stata la premiazione.

Seduta guardavo attorno a me con curiosità, tanta gente, tanti insegnanti, lo si capiva dal loro salutarsi, pensavo a tutto tranne che avrei vinto.

Dopo vari discorsi e ringraziamenti sono iniziate le premiazioni, una menzione al quarto posto, poi il terzo, poi il secondo e.....

Sento in dialetto il titolo del mio racconto e poi il mio nome, mi sono guardata attorno per vedere se qualcun altro si alzava, ma no,  ero proprio io....

Dire che sono stata felice è riduttivo, è stato bello, pota, sono umana, perchè negare la cosa?

La mia storia è stata premiata e fa già parte di un'antologia di racconti brevi, un libro che si trova già in tutte le librerie italiane.

Per ora mi fermo qui, domani pubblicherò la prima parte del mio racconto.

 

 

ALLEVAMENTO AMATORIALE CON AFFISSO

GATTI CERTOSINO DE LA SCIAMANA

BRESCIA

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 GATTINI DISPONIBILI

Tutte le mie grigie e gli stalloni sono stati testati tramite prelievo ematico per il rene policistico (PKD Genetic Test) al laboratorio Vetogene di Milano, ecograficamente per HCM, ovviamente testati anche per FIV, FELV. Sono anche membro del Club del Certosino

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Perchè la mia veterinaria è meglio! La mia " dottora" è fantastica, sa parlare agli animali e ha un un lagotto, Ciccio, che accoglie tutti con delle coccole sfrenate e non è geloso di nessuno. Fare un giro in clinica è come andare a trovare dei carissimi amici, consigliato a mille a tutti quelli che abitano a Brescia e che hanno i miei Sciamanini/e. Grazie Ilaria e company, siete super!!!!!!


In ricordo della mia sempre Tiffany


♥️♥️♥️♥️♥️

❤

Non ditemi che è solo un gatto...
Tu Tiffany mia sei molto di più, sei mia figlia, sei la sorellina di Mara, fai parte di noi e basta.
Non ditemi che è solo un gatto perchè se tutto il dolore che ho dentro ora diventasse freccia sareste morti all'istante!
Tu Tiffany mi sei dentro da sempre, da quando sei nata in un giorno importante, un 8 marzo del 2002.
Sono state le mie mani che ti hanno accolto in questo mondo, è stato il mio odore che hai sentito prima di quello della tua mamma, io ero sempre accanto a te e ci sarò per sempre!
Ti ha scelto Mara, chissà come mai ha scelto te nel mucchio dei sei piccoli urlanti grigini, ma sei stata tu da subito.
Eri l'unica con il fiocchetto ingombrante, eri quella amata e coccolata di più...
Sei stata per Mara la sua prima amica, per lei sei diventata bambola e nonna di capuccetto rosso, sei diventata principessa e strega.
Tu, straordinaria in tutto, umana fino a dormire allungata come me e Dario tra i nostri due cuscini e anche brontola se mi alzavo la notte e ti svegliavo.
Tu che a tutti hai regalato una testatina come a dare loro il permesso di accarezzarti.
Tu che eri il biglietto da visita di casa nostra, invadente fino a salire sul tavolo se avevamo ospiti ben sapendo che non ti avrei mai sgridato perchè non volevo offenderti davanti a persone non di famiglia.
Tu che tutti ti portano dentro, tutti sanno chi sei e come sei, sei la gatta più dolce, più vera e più nostra del mondo e basta.
Chi ha un mio Grigione ha anche te nei suoi ricordi, per te c'è sempre un pensiero, un sorriso, un filo che diventa amicizia correlato delle tue immagini, dalle tue fusa esagerate e dalla tua insistenza che a volte diventava invadenza.
Non ditemi che è solo un gatto, lei è Tiffany, mia figlia.
Abbiamo vissuto quasi 16 anni assieme e come figlia ti ho sempre messo al primo posto assieme a Mara, io sono sempre venuta dopo, io sono solo la vostra mamma, voi siete le mie principesse.
Anche nelle tue pochissime gravidanze come una figlia mi hai dato l'onore di esserci sempre, sorrido se ci penso, Tiffany, tu iniziavi a urlare ancora prima che iniziasse il travaglio.
Come una regina mi scodellavi i piccoli guardandomi con occhi pieni di dolore facendomi sentire in colpa, poi me li davi e basta, l'unico tuo compito era allattarli ma la mia presenza ti era necessaria.
Anche le notti le passavi nel lettone con i tuoi bambini, non c'era verso che tu stessi nella cesta, tu dovevi dormire con noi, tra di noi e ci portavi un piccolo per volta visto che noi lo rimettevamo nella cesta vicino al letto, tu allora ne prendevi un'altro e andavamo avanti fino a che sfiniti io e Dario ti accettavamo in toto, bimbi compresi.
Ricordo quelle notti passate sul bordo del letto, il dormire con un occhio aperto per la paura di schiacciare un bimbino, certo, l'unica a dormire alla grossa eri tu fiduciosa in noi... Dio che nostalgia di quelle notti....
Anche ora che non riesco nemmeno a vedere quello che scrivo da queste stupide lacrime ho già nostalgia di te, ora che riposi avvolta nella copertina rosa che ti piaceva tanto chiamo già Tiffany tutte le altre Grigie, che farò senza di te?
Sei stata bravissima come al solito, ci hai permesso di salutarti uno a uno, Mara è tornata a casa per te, ti ha chiamato con il vostro linguaggio e tu le sei andata incontro, stanca ma felice, ti sei lasciata pettinare e coccolare, vi siete salutate , vi siete date un arrivederci, lo so con certezza.
Anche Fabio ti ha salutato, con discrezione e da solo ma quando è uscito i suoi occhi erano gonfi di lacrime.
Il papà che non riesce a metabolizzare il dolore e che lascia questo compito a me,ti ha accarezzata e sicuramente ringraziato per tutto quello che ci hai dato.
Io che in questi 4 giorni li ho vissuti con te, attorno a te.
Alla fine eri anche stufa di avermi tra i piedi, si sa, ognuno muore da solo ma io questo non te l'ho permesso, te ne sei andata con me, io c'ero e ti ho accarezzato, ti accarezzerò per sempre!
Tu non devi andare in nessun posto, sei già a casa e lo sarai per sempre!
Tu sei nei nostri cuori, hai solo cambiato forma, ora sei l'energia dei ricordi belli, sarai per sempre un sorriso e sarai per sempre la nostra Tiffany.
Non ditemi che era solo un gatto, lei è mia figlia e basta!

Ti prego Signore

 TI PREGO SIGNORE

KORA   15/12/2008----02/10/2022

Signore lo so che stai aspettando Kora, ma che te fai di una pit bull in paradiso?
Signore, anche sul Ponte dell'Arcobaleno non te la consiglio sai?
Signore, so che tu sai, ma quando sei sicuro che tutto va bene molli un pochino...
Signore, tu sai ma lasciami spiegarti del perchè forse è meglio che rimanga con noi.
Kora è una pit bull che ha sempre vissuto con i gatti e ha volte si crede un gatto (quando vuole coccole esagerate) ma lei odia i gatti (quelli fuori di casa nostra) .
Kora ama giocare con altri cani ma vuole essere sempre lei a decidere il come e il quanto, per questo non me la vedo sul Ponte dell'Arcobaleno, sai che scompiglio?
Kora è una gelosona, difficile per lei condividerci, non me la vedo proprio in Paradiso a sorridere a tutti.
Kora è solo nostra, si, lo so che l'abbiamo viziata, che l'abbiamo umanizzata troppo ma amarla non è costato niente sai?
A nostra difesa e sua ti posso dire che ha sofferto tanto, quanto male ha dovuto subire, non serve raccontarti, vero? Sai già tutto, ecco, noi abbiamo solo trasformato il suo dolore in Amore e credo sia stato il minimo.
Signore, capisci il perchè deve stare con noi?
Ho vissuto giorni, ore minuti e anni con lei, fa parte di me, tu sai quanta fatica mi costa anche buttare un paio di scarpe perchè ci sono tutti i passi che ho fatto, i pensieri che ho avuto, i dolori e le gioie, insomma la mia vita.
Come posso dirti Signore, ora è tua?
Oggi è tornata a casa in un'urna, abbiamo pianto ancora e ancora, so Signore che sei stato paziente, ci hai lasciato il tempo di metabolizzare ma questo tempo non ci basta sai?
Signore, non ci basterà il tempo della nostra vita per lasciarla andare definitivamente lo sappiamo, però possiamo fare un patto se vuoi.
Signore, lasciala con noi, verremo noi a portarla quando il nostro tempo finirà, ognuno di noi avrà un pò di Kora tra le mani e tutta nel cuore, che ne dici Signore?
Lasciala con noi fino a che avremo respiro grazie Signore....